Categoria: tutto il resto

invincibili

Con la mano sfioro il tuo viso,
proteggi il mio palmo, colmi ogni distanza,
mi sottrai lo sguardo da vedere
come dove vado non sono io solo un io;

è questo mio dire che odia odiare
e ama l’amaro silenzio dell’attesa,
e il sentiero che mi accompagna
è segno di una parvenza alla tua luce;

guardami e guardate, siate e sarete,
andate e andiamo, ora vado come il cieco
a cercare baluardi di pietra e porose
lingue di baci sconfitti e caduti;

posso ridere e iniziare a seguire
quegli anni che sono, angeli in disarmo,
consumate le ali, bruciate le carte,
le scritte che tornano buio e fumo;

e il fuoco è il ricordo, di cosa
che non guarisce l’ustione,
acre e misericordiosa d’una prigionia,
limpido rimane solitario il dolore;

io so, e non vedo, e non sento,
ma non mi cura ora e mai il manto
di piume, bianche e dimenticate,
langui e antiche, leggere e deboli;

sono io la più piccola delle ombre,
che sfugge e scompare, solleva e stende
un lucore di maternità, la pena di chi parte,
lacrima che sorride e mi salva, è questo:

sangue da spine, fiori di unghie,
radici e mute propaggini che ballano,
al vento le foglie vessilli, dai rami
fruste, scosse, rapida e spietata la pioggia.

L’universo (per i figli)

Lo conosci l’albero che non cade,
solo le foglie lascia andare, che nei rami
insegna come ogni destino si biforca,
sempre sa solo crescere o morire,
che ci sono pesi di frutti e altri nei semi,
i primi che nutrono e gli altri
che germinare li porta a seguire due vie,
una che cieca scende nella terra,
come sale invece di verde l’altra,
verso un cielo senza che s’impiglino
nuvole negli sterpi più ardui e perfetti,
di questo sia la tua richiesta di vita,
in quello che conoscerai è l’universo
a fare il sapere e tu a essere sempre
non meno di me e dell’infinito.

Gli spostati

Poster - Misfits, The_012 marzo 1961

Caro Dottor Greenson,

ho chiesto a May Reis di battere a macchina questa lettera per me, poiché la mia scrittura non è chiaramente leggibile, ma ho anche incluso queste note e capirà cosa voglio dire.

M.M.

1 marzo 1961

Ho appena guardato fuori dalla finestra dell’ospedale e ormai, laddove la neve aveva ricoperto tutto, tutto è un po’ verde: l’erba e i piccoli germogli, quelli che non perdono mai le foglie (anche se gli alberi non sono ancora molto incoraggianti), i rami nudi e lugubri annunciano forse la primavera e sono forse segno di speranza.
Lei ha visto Gli spostati? In una delle scene, potrà vedere fino a che punto un albero possa apparirmi strano e nudo. Non so se si vede distintamente nello schermo… Non amo la maniera in cui certe scene sono state montate. Da quando ho cominciato a scrivere questa lettera, ho pianto quattro lacrime silenziose. Non so veramente perché.
La notte scorsa sono rimasta di nuovo sveglia tutta la notte. A volte mi domando a cosa serva il tempo notturno. Per me praticamente non esiste, e tutto mi sembra come un lungo e spaventoso giorno senza fine. Ed ho anche provato ad approfittare della mia insonnia in modo costruttivo e ho cominciato a leggere la corrispondenza di Sigmund Freud. Aprendo il libro per la prima volta, ho visto la fotografia di Freud e sono scoppiata in singhiozzi: aveva l’aria molto depressa (quella foto deve essere stata scattata poco prima della sua morte), come se fosse morto da uomo disilluso… Ma il Dottor Kris mi ha detto che soffriva molto fisicamente, cosa che avevo già letto nel libro di Jones. Ma penso anche di avere ragione, mi fido della mia intuizione perché percepisco un triste tedio sul suo viso. Il libro prova (anche se non sono sicura che si dovrebbero pubblicare le lettere d’amore di qualcuno) che era ben lontano dall’essere impacciato! Mi piace il suo senso umoristico dolce e un po’ triste, il suo spirito combattivo che non l’ha mai lasciato. Non sono ancora andata troppo avanti nella lettura perché sto leggendo allo stesso tempo l’autobiografia di Sean O’Casey (le ho già detto che un giorno mi ha inviato una sua poesia?). Questo libro mi sconvolge molto, nella misura in cui si può rimanere sconvolti da questo genere di cose.
Alla clinica Paine Whitney mancava del tutto l’empatia, il che mi ha fatto molto male. Sono stata interrogata dopo essere stata messa in una cella (una vera cella in cemento e tutto il resto) per persone veramente disturbate, i grandi depressi, (solo che avevo l’impressione di essere dentro una sorta di prigione per un crimine che non avevo commesso). Ho trovato questa mancanza di umanità peggio ancora che barbara. Mi hanno chiesto perché non stavo bene qui (tutto nella stanza era chiuso a chiave: le lampade elettriche, i cassetti, il bagno, gli armadietti, c’erano delle sbarre alle finestre… le porte delle celle erano come finestre così che i pazienti fossero sempre visibili, si vedevano sui muri le tracce delle violenze dei pazienti precedenti).
Ho risposto: “Eh beh, dovrei essere svitata per farmelo piacere”. Poi delle donne si sono messe a urlare nella loro cella, e credo urlassero perché la vita gli era diventata insopportabile… In quei momenti, mi sono detta che uno psichiatra degno di questo nome avrebbe dovuto parlare con loro. Per alleggerire la loro miseria e la loro pena, anche solo per un momento. Penso che loro (i medici) potrebbero anche insegnargli qualche cosa… Ma non sono interessati che a quello che hanno studiato nei libri. Ero sorpresa perché sapevano già tutto questo. Forse però potrebbero imparare qualcosa in più ascoltando degli essere umani vivi e sofferenti. Sento come se si interessassero più alla loro disciplina e lasciassero cadere del tutto i loro pazienti dopo averli fatti “piegare”. Mi hanno domandato di mescolarmi agli altri pazienti, di fare terapia di gruppo. “E per fare cosa?” ho domandato loro. “Potrà cucire, giocare a dama, o a carte, o fare la maglia”. Ho provato a spiegargli che il giorno in cui io farò delle cose simili, avranno veramente una svitata in più tra le braccia. Sono le ultime cose che mi va di fare. Mi hanno chiesto se mi sentivo “diversa” (dagli altri pazienti, suppongo) e mi sono detta che se erano talmente stupidi da fare simili domande, dovevo dargli una risposta bella semplice, quindi ho detto: “Sì, lo sono”.
Il primo giorno ho incontrato un’altra paziente. Mi ha domandato come mai ero così triste e mi ha suggerito di chiamare un amico per sentirmi meno sola. Le ho risposto che mi avevano detto che non c’era un telefono a questo piano. A proposito di piani, sono tutti chiusi a chiave: nessuno può entrare o uscire; lei mi è parsa shoccata e sorpresa e mi ha detto: “Lasciate che vi porti al telefono”. Aspettando il mio turno per il telefono, ho notato una guardia (l’ho riconosciuta dall’uniforme grigia) e quando stavo per alzare la cornetta me l’ha strappata dalle mani e mi ha detto con durezza: “A lei non è permesso telefonare”. E si vantano pure dell’ambiente “casalingo”. Gli ho domandato (ai medici) che cosa volessero dire con quell’espressione. Mi hanno risposto “Beh, al sesto piano, abbiamo della moquette per terra e l’arredamento è moderno”, al che io ho risposto “Bene, è il genere di cose che un qualsiasi architetto d’interni può fornire, una volta che ha i fondi necessari”, ma per occuparsi di esseri umani, perché non si rendono conto di quello che rende veramente un interno più umano? La ragazza che mi ha parlato del telefono aveva l’aria così vaga e patetica. Dopo l’incidente con la guardia, mi ha detto: “Non sapevo che l’avrebbero fatto”. Poi ha aggiunto: “Sono qui a causa delle mie turbe mentali… Mi sono tagliata la gola e i polsi più volte”, ha detto di averlo fatto tre o quattro volte. La sola cosa che avevo in testa nell’ascoltarla era un ritornello:

“Mescolatevi gli uni agli altri fratelli miei,
a meno che non siate nati solitari”.

Alla fine, gli uomini cercano di raggiungere la luna ma non sembrano molto interessati al cuore che batte nell’essere umano. Quand’anche potessimo cambiare, non per forza si dovrebbe volerlo. Questo a proposito, è il tema degli Spostati, ma nessuno se n’è reso conto. Immagino sia a causa delle modifiche al copione e dei cambiamenti imposti dalla sceneggiatura…

Marilyn Monroe (1926-1962), Fragments. Poesie, appunti, lettere, Feltrinelli.

il cacciatore di valori.

La forma poetica è di cruciale importanza per la forza che la poesia ha di fare quello per cui le si dà e sempre le si darà credito: la forza di persuadere la parte vulnerabile della nostra coscienza di essere nel giusto, a dispetto di tutte le ingiustizie che le sono intorno; la forza di ricordarci che siamo cacciatori e raccoglitori di valori, e che le nostre stesse solitudini e angosce sono degne di credito, nel senso che esse, pure, sono un pegno della nostra autentica umanità.

S. Heaney, Sia dato credito alla poesia, Archinto, Milano 1997.

the deer hunter

Il passato

Quella polvere vicina agli occhi
erano ricordi rimasti fermi,

e un desiderio che piangeva
ricordava una bocca bagnata di labbra,

poi gli occhi sono scesi sul cuore
che rimasto invisibile era pieno di sangue,

nella vastità di quello spazio
il passato era l’unica cosa ferma,

ferma e viva.

Le rinunce

Disse / Come fai a chiamarlo amore?
Tu vuoi risposte? Da me non ne avrai,
solo un sottile destino posso darti.
Può essere amore anche una rinuncia?
Non lo so. Perché le rinunce sono altre domande
e sono come l’amore, dureranno tutta la vita.