Categoria: foglio di lavoro

A cera persa (+ lettura)

A cera persa

Tu non sai che ora io
Dove sono cosa vedo
Nelle cose che non mutano
E raccontano cosa diventerai
Perché non dormo da sempre
Da quando lavora la gola
Un barlume di silenzio
Che opera sulla via breve
Nel tempo delle mie speranze
Ora che non ancora si consuma
Un corpo di cera
Intorno alla mia anima
Ritorta in un filo spento
Che una forma densa di gesso
Ha lasciato al fuoco insonne
Uno spazio incolmabile di te
Che non ho finito di amare.

Un senso nelle cose: una lettura

La tecnica “a cera persa” si usava in antichità per le fusioni in bronzo. Su un modello di cera veniva applicato un rivestimento di argilla o di gesso, successivamente con il calore la cera si scioglieva e lasciava uno stampo vuoto nel quale introdurre il metallo per realizzare la scultura. In questa poesia ho recuperato questa tecnica per rendere l’immagine di un amore (la cera, materiale solido ma impermanente al calore) che ha lasciato “Uno spazio incolmabile di te”; qui la poesia poteva anche finire e sembrare compiuta, proprio allora ho inserito “Che non ho finito di amare” come ultimo verso che ribalta il senso di un amore di cera (quindi consumabile) per dire che c’è sempre un amore che continua ad amare (vedi Dylan Thomas, And death shall have no dominion: “…benché gli amanti si perdano l’amore sarà salvo”). I versi precedenti sono preparatori (caricano la molla) con la descrizione di stati d’animo e di speranze che nel frattempo (“la via breve”) si sono bruciate tanto da lasciare acceso nella cola solo “Un barlume di silenzio”. Il “corpo di cera” che avvolge l’anima “Ritorta in un filo spento” come lo stoppino di una candela potrà anche consumarsi. Il vuoto che rimane non è un’assenza ma una “attesa” di ricevere qualcosa che potrà ancora riempirlo, che pur essendo nelle parole “incolmabile” lo è “di te”, cioè di una lei che non sa “che … cosa vedo” di lei e cosa vedrò dopo di lei (apertura al futuro).

Perché il fuoco conosce la verità.

Raffiche

Raffiche – foglio di lavoro

Qualche ricordo nei capelli,
il vento li sprigiona
una mano li pettina
tra le unghie s’impigliano,

ma il vento e la mano o le unghie
non li possiedono
come i capelli hanno fatto,
che il passato a loro si lega

sperando diventare sogno,
come se fossero fili
il vento a trasportare
e la mano un’ala aperta,

con le unghie a scudo
dalle raffiche del tempo
che strappano alla vita
tutti i sogni mai stati ricordi.

Imperdonabile

Chiedo scusa a quanti in questi giorni si sono visti arrivare carrettate di mail che vantavano una prolifica produzione generata da questo blog.

Il fatto è che sto migrando i contenuti che avevo su blogger e che prima ancora erano su splinder (+ di venerata memoria).

Il problema è che non ho ancora finito. Quindi, Hic sunt leones, o subite in silenzio oppure vi disfollowerate per un po’ o per sempre. Questa è la libera scelta che spetta ad ogni lettore.

Cristina Campo, nel parlare di sé in terza persona scriveva: «Ha scritto poco e le piacerebbe avere scritto meno» (cit. in Gli imperdonabili, Adelphi, Milano 1987).

Purtroppo, voi non avete scampo e se ho scritto tanto, ripetendomi forse nella mia ricerca ostinata di dire, è stato solo perché secondo la “legge dei grandi numeri” la mia speranza è sempre stata quella che, magari per sbaglio, io possa trovare il modo di dire almeno una cosa giusta.

Quando sarà, forse nemmeno me ne accorgerò.

Addio. Arrivederci. O come vi pare. Amen!

Raffaele