Categoria: riflessioni

HAIKU / who

haiku / who

mi permetto di proporre una breve lettura di questo haiku:

CHI AMA NON ODIA / DELLE ROSE LE SPINE
chi ama accetta della rosa tutta la sua natura, ogni sua parte,
e amando la comprende in sé,
sapendo che il fiore, nei semi, è una promessa di futuro;

DELLE ROSE LE SPINE / CHI ODIA NON AMA
chi non ama, prende del fiore solo il presente
e del presente solo la polvere.

Vicini

Di quei pochi anni ne avevano vissuti meno,
allora chiesero alla conchiglia del mare
se il mare avesse un fondo
e se questo fosse come la sabbia sulla riva
– così l’immaginavano e immaginavano così
la sabbia come terra e l’acqua come il cielo.

In quella poca vita avevano visto la vita breve
ch’era stata d’un fiore e d’un filo d’erba (vicini),
di come un piede bastasse a calpestare
e una mano a cogliere
– di chi camminava distrattamente,
di chi strappava per avere niente.

Valeva quel poco di tutto, per togliere
quello che di già poco avevano e avevano tutto
e di chiedere nessun bisogno,
come tutto il tempo che per loro era già tanto
– non come per chi contava i passi
o che seguiva strade che una fine non hanno.

Allora, se esiste un lontano, non arriveremo
– pensavano al volo d’un uccello –,
se tutto il cielo è cielo e nido è il ramo
o la cima d’una casa è dove nessuno vuole stare;
ma da qui vedere lontano non serve, spiegare un’ala
verde al vento, avere corona di piume al sole nascente.

Il fiore e il filo d’erba, che del mare e del cielo
poco sapevano, della conchiglia sentivano
il racconto che finiva e come ricominciava,
senza sapere dei pochi anni cosa volessero da loro,
perché neanche un anno aveva senso per loro,
ma solo i giorni, se calpestano e quelli che raccolgono.

un sopracciglio

«I blog sono depri­menti, defi­ni­scono tutto tra­mite le parole, manca un soprac­ci­glio che si sol­leva, o la mano che si posa su un brac­cio. Le nuove tec­no­lo­gie, per quanto utili, pos­sono essere una tra­ge­dia per­ché costi­tui­scono espe­rienze sma­te­ria­liz­zate men­tre noi esseri umani abbiamo la neces­sità di espe­rienze incarnate» (R. Sennett, in http://ilmanifesto.info/richard-sennett-dentro-la-corrosione-del-legame-sociale/).

Charles Leval, Street art 4.

Charles Leval, Street art 4.

Favola dell’incomprensibile

Superman and his wife.

Superman and his wife.

«I actually have sensation in some weird collection of places. There’s a little spot just by my left ribs, in the middle, that Dana [Reeve’s wife] used to touch because it felt so nice to have a connection some place».

Christopher Reeve (September 25, 1952 – October 10, Never).

Era il guardare oltre un modo di conoscere.
Alcuni vedevano così lontano che poi, a causa dell’abitudine, non erano più in grado di vedere le cose vicine.
Altri credevano invece che bastasse vedere dove mettere i piedi per conoscere il mondo.
Ma il mondo non si misurava con i passi, anzi non si poteva misurare in alcun modo.
Poi c’erano anche quelli strani, che camminavano con gli occhi chiusi.
Ed erano più le volte che si scontravano con qualcosa, che quelle in cui effettivamente imparassero qualcosa di utile.
Altri ancora guardavano le proprie mani, cercando di capire cosa ci fosse scritto della loro vita: passato, presente, futuro…
Ma niente di quello che veramente volessero si era mai verificato.
Se il passato li aveva delusi e il presente li deludeva, l futuro li avrebbe sicuramente delusi.
Poi, sulle mani c’erano anche tante linee incomprensibili.
Parlavano di vita, amore, salute, amicizia.
Parlavano tanto, ma non dicevano nulla.
Solo quando le mani si incontravano con altre mani, il calore o il freddo facevano scuotere queste strane linee.
L’incomprensibile diventava comprensibile.
L’altro o l’altra cominciavano a vedere il mondo con gli occhi dell’altra o dell’altro.
Tutto finiva solo quando, invece di vedere, le due persone sentivano quello che gli occhi non potevano dire.
Allora tutto cominciava.

MAI.

Vorrei un aeroplano di carta, vorrei;
vorrei farlo volare sulla luna, vorrei
per non vederlo cadere mai.

G. Dorè, Viaggio di Astolfo sulla Luna nell'Orlando Furioso [1877].

G. Dorè, Viaggio di Astolfo sulla Luna nell’Orlando Furioso [1877].

«Voi,

«Voi, chiare strade maestre che vi estendete in lontananza dietro la città, voi viottoli di campagna, cui di lontano giungono i rintocchi dell’Avemaria! Può forse questo non dare la felicità? Credetemi, non c’è dolore al mondo che non possa essere placato con passo svelto e deciso su una strada di campagna sconosciuta. Tutti i dolori si fanno sopportabili sulla strada di campagna. Uno, due, uno, due, e già il dolore arriva in pulsazioni regolari, uno, due, uno, due, il dolore lotta ancora coi piedi, il cuore esita ancora, soffre, ma i piedi dicono: Ecco il mondo, ecco il mondo! E lentamente il cuore impietrito si schiude, comincia a smaniare, trabocca, poi si calma, infine è cullato, e ad un tratto può ancora ridere. Sono stati i piedi a trascinare il dolore fino alla morte, il dolore è morto, il mondo è qui, è qui. Ma ora, ti prego, non fermarti, non ora, se non vuoi che la disperazione ti ripiombi addosso. Va’ avanti, avanti ancora, per ore intere, fino alla spossatezza. Quando poi ti fermerai e i piedi taceranno, nel silenzio che si spande intorno a te, troverai forse – non posso prometterlo con sicurezza – due, tre lacrime».

M. Jesenská, La strada verso la semplicità, cit. in M. Buber-Neumann, Milena, l’amica di Kafka, Adelphi, Milano 1999.
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Non c’è bisogno di un commento per queste parole, sono semmai loro (le parole) a commentare “noi”, con un richiamo a percorrere quasiasi strada, da quelle maestre ai viottoli di campagna, anche se trascinati dal dolore o dal dolore sospinti, purché la volontà sia sempre quella di andare avanti.

[Milena Jesenská è morta a Ravensbrück il 17 maggio 1944 in un campo di concentramento nazista].